lunedì 26 dicembre 2011

Il Delta del Po

La zona denominata Delta del Po copre aree considerate tra le più produttive e ricche in biodiversità poiché possiede la più vasta estensione di zone umide protette d’Italia, aree d'eccezionale valore ecologico.
E’ un territorio ricco di ambienti naturali che ospitano centinaia di specie floristiche e faunistiche infatti l’elevato numero di specie presenti è strettamente legato alla diversità degli habitat presenti, che si esprimono con forme ed adattamenti peculiari in relazione alle diverse condizioni chimico-fisiche del suolo ed alle condizioni climatiche.


La particolare geomorfologia del territorio, anche se non espressa con forme evidenti, ha permesso l’insediamento di boschi con vegetazione a foglie caduche e sempreverdi: dell’antico Bosco Eliceo, del quale si parla nei manoscritti storici, ne rimane solo un'esigua traccia sulle antiche dune del litorale ferrarese mentre nel ravvennate il bosco, d'epoca più recente, si veste di pini domestici e marittimi.
Elementi di rilievo del paesaggio del Delta sono le Valli e le Zone umide. Le Valli salmastre si sono originate per allagamento da parte delle acque di mare di territori depressi o per l’opera di trasformazione dell’uomo a fini produttivi (pesca, saline). Sono presenti piante estremamente specializzate legate alle spiagge ed alle dune (psammofile) od alle zone umide (idrofite) e loro sponde (elofite), siano esse lagune e valli salmastre (piante alofile) o paludi e prati umidi d’acqua dolce.
Accanto a queste troviamo specie adattabili, presenti ai margini dei coltivi e un gran numero di specie degli ambienti forestali, alberi, arbusti ed erbe del sottobosco e delle radure, presenti nei boschi igrofili, mesofili e xerofili.


La fauna del Delta del Po è sicuramente uno degli elementi di maggior pregio dell'area protetta: sono note complessivamente più di 460 specie di Vertebrati.
Gli uccelli del Delta del Po costituiscono un patrimonio di straordinario valore, con oltre 300 specie segnalate negli ultimi decenni, di cui oltre 150 nidificanti e oltre 180 svernanti. Tale ricchezza lo rende la più importante area ornitologica italiana ed una delle più rilevanti d’Europa.
Questa straordinaria diversità di specie è dovuta alla grande complessità ambientale del Delta, che per molte specie rappresenta una vera roccaforte a livello europeo o nazionale, con alcune emergenze che costituiscono vere rarità di livello internazionale, come il Marangone minore, con l’unica colonia dell’Europa occidentale, la Sterna di Rüppell, con le uniche coppie nidificanti dell’intero continente, il Fenicottero, con una delle pochissime colonie europee. 

Il tricolore italiano

Il tricolore italiano, quale bandiera nazionale, nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, decreta "che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco e Rosso, e che questi tre Colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti". Perché proprio questi tre colori? Nell'Italia del 1796, attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, le numerose repubbliche di ispirazione giacobina che avevano soppiantato gli antichi Stati assoluti adottarono quasi tutte, con varianti di colore, bandiere caratterizzate da tre fasce di uguali dimensioni, chiaramente ispirate al modello francese del 1790.


Anche i reparti militari "italiani", costituiti all'epoca per affiancare l'esercito di Bonaparte, ebbero stendardi che riproponevano la medesima foggia. In particolare, i vessilli reggimentali della Legione Lombarda presentavano, appunto, i colori bianco, rosso e verde, fortemente radicati nel patrimonio collettivo di quella regione: il bianco ed il rosso, infatti, comparivano nell'antichissimo stemma comunale di Milano (croce rossa su campo bianco), mentre verdi erano, fin dal 1782, le uniformi della Guardia civica milanese. Gli stessi colori, poi, furono adottati anche negli stendardi della Legione Italiana, che raccoglieva i soldati delle terre dell'Emilia e della Romagna, e fu probabilmente questo il motivo che spinse la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera. Al centro della fascia bianca, lo stemma della Repubblica, un turcasso contenente quattro frecce, circondato da un serto di alloro ed ornato da un trofeo di armi.

Nei tre decenni che seguirono il Congresso di Vienna, il vessillo tricolore fu soffocato dalla Restaurazione, ma continuò ad essere innalzato, quale emblema di libertà, nei moti del 1831, nelle rivolte mazziniane, nella disperata impresa dei fratelli Bandiera, nelle sollevazioni negli Stati della Chiesa.
Dovunque in Italia, il bianco, il rosso e il verde esprimono una comune speranza, che accende gli entusiasmi e ispira i poeti: "Raccolgaci un'unica bandiera, una speme", scrive, nel 1847, Goffredo Mameli nel suo Canto degli Italiani.
E quando si dischiuse la stagione del '48 e della concessione delle Costituzioni, quella bandiera divenne il simbolo di una riscossa ormai nazionale, da Milano a Venezia, da Roma a Palermo. Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto rivolge alle popolazioni del Lombardo Veneto il famoso proclama che annuncia la prima guerra d'indipendenza e che termina con queste parole: "(…) per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana vogliamo che le Nostre Truppe (…) portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla Bandiera tricolore italiana."
Allo stemma dinastico fu aggiunta una bordatura di azzurro, per evitare che la croce e il campo dello scudo si confondessero con il bianco e il rosso delle bande del vessillo.

Il 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno d'Italia e la sua bandiera continuò ad essere, per consuetudine, quella della prima guerra d'indipendenza. Ma la mancanza di una apposita legge al riguardo, emanata soltanto per gli stendardi militari, portò alla realizzazione di vessilli di foggia diversa dall'originaria, spesso addirittura arbitrarie.
Soltanto nel 1925 si definirono, per legge, i modelli della bandiera nazionale e della bandiera di Stato. Quest'ultima (da usarsi nelle residenze dei sovrani, nelle sedi parlamentari, negli uffici e nelle rappresentanze diplomatiche) avrebbe aggiunto allo stemma la corona reale.
Dopo la nascita della Repubblica, un decreto legislativo presidenziale del 19 giugno 1946 stabilì la foggia provvisoria della nuova bandiera, confermata dall'Assemblea Costituente nella seduta del 24 marzo 1947 e inserita all'articolo 12 della nostra Carta Costituzionale. E perfino dall'arido linguaggio del verbale possiamo cogliere tutta l'emozione di quel momento. PRESIDENTE [Ruini] Pongo ai voti la nuova formula proposta dalla Commissione: "La bandiera della repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali e di eguali dimensioni". (E' approvata. L'Assemblea e il pubblico delle tribune si levano in piedi. Vivissimi, generali, prolungati applausi.)

Mole Antonelliana

La Mole Antonelliana è il monumento simbolo della città di Torino. Situata nel centro storico della città, a ridosso del quartiere Vanchiglia, prende il nome dall'architetto che la costruì, Alessandro Antonelli. Raggiunge un'altezza di 167 metri, perciò è attualmente l'edificio più elevato di Torino ed è stata per lungo tempo la struttura in muratura più alta d'Europa.
Nel secolo scorso però importanti ristrutturazioni hanno rinforzato il tamburo con molti pilastri di cemento armato, mentre la guglia, in seguito al crollo del 23 maggio 1953, è stata rinforzata con travi di acciaio, per cui la Mole Antonelliana non può più considerarsi una struttura esclusivamente in muratura: al suo interno ha sede il Museo Nazionale del Cinema.


La costruzione della Mole iniziò nel 1863, nel luogo dove sorgeva uno dei bastioni costituenti le mura della città poi demolite per ordine di Napoleone Bonaparte ad inizio Ottocento.
Originariamente doveva essere una sinagoga: infatti era appena stata concessa da Carlo Alberto la libertà ufficiale di culto alle religioni non cattoliche e la comunità ebraica voleva costruire un tempio con annessa una scuola.
La scelta di Antonelli come architetto si rivelò infelice per la comunità ebraica, perché propose una serie di modifiche che avrebbero innalzato la costruzione a 113 metri, ben oltre i 47 metri originari per la cupola. Tali modifiche, l'allungamento dei tempi di costruzione ed i maggiori costi, risultarono sgraditi alla comunità ebraica che nel 1869, per mancanza di fondi, fece terminare i lavori con un tetto provvisorio: nel 1873 ci fu uno scambio con la città di Torino, che diede loro un altro terreno per costruire l'attuale sinagoga e si prese in carico la Mole da terminare, che sarebbe stata dedicata al re Vittorio Emanuele II.
Antonelli riprese la costruzione, con una serie di modifiche in corso d'opera che portarono l'altezza complessiva a 146, 163,35 e infine 167,5 metri (con l'aggiunta in cima della statua del "genio alato" alta 4 m), facendola diventare l'edificio in muratura più alto d'Europa e del mondo.
Perse questo primato il 23 maggio 1953, quando la guglia originaria crollò ed il titolo passò quindi ad un'altra opera antonelliana, la cupola della Basilica di San Gaudenzio a Novara.
Antonelli lavorò alla Mole fino alla morte: era diventata leggendaria quella sorta di rudimentale ascensore azionato da una carrucola che portava il quasi novantenne architetto a diverse decine di metri d'altezza per verificare personalmente lo stato dei lavori. 

La Mole fu, tra l'altro, una delle prime costruzioni a venire illuminata mediante piccole fiammelle di gas cittadino sul finire del XIX secolo.
Nel 1961, ultimata la ricostruzione della guglia, il progetto di illuminazione fu realizzato dall'ing. Guido Chiarelli, nell'ambito delle celebrazioni per il centenario dell'Unità d'Italia.

Una volta trasferito il Museo del Risorgimento a Palazzo Carignano, tra gli anni 1960 e gli anni 1990 la Mole è stata usata prevalentemente come "balcone sulla città" grazie all'ascensore, oltre che per mostre estemporanee. L'interesse della città sembrò diminuire in assenza di una collocazione definitiva per la struttura.
Dopo quattro anni 1996-2000 di chiusura per ristrutturazione, necessari a rinnovare l'ascensore e ad eliminare parte degli archi di supporto in cemento, la Mole è diventata sede permanente del Museo nazionale del Cinema, che ospita macchine ottiche pre-cinematografiche lanterne magiche, pezzi provenienti dai set cinematografici dei primi film italiani ed altri, in un allestimento suggestivo.
Dal 1998, in occasione della ridefinizione dell'illuminazione esterna e della nascita della manifestazione "Luci d'Artista", sul fianco della cupola si può vedere un'installazione di Mario Merz, Il volo dei numeri, con l'inizio della successione di Fibonacci che s'innalza verso il cielo.

domenica 25 dicembre 2011

L'Etna

L’Etna (Mungibeddu o 'a Muntagna in siciliano) è un complesso vulcanico siciliano originatosi nel Quaternario ed ancora attivo. Con le diverse eruzioni ad esso connesse ha modificato incessantemente il paesaggio, minacciando spesso le diverse comunità umane che nei millenni si sono insediate intorno ad esso. La sua superficie è caratterizzata da una ricca varietà di ambienti che alterna paesaggi urbani, folti boschi che conservano diverse specie botaniche endemiche ad aree desolate ricoperte da roccia vulcanica e periodicamente soggette ad innevamento alle maggiori quote.

Catania con l'Etna sullo sfondo
Si diceva che il dio Eolo, il re dei venti, avesse imprigionato tutti i venti sotto le caverne dell'Etna. Secondo il poeta Eschilo, il gigante Tifone fu confinato nell'Etna e fu motivo di eruzioni. Un altro gigante, Encelado, si ribellò contro gli dei, venne ucciso e fu bruciato nell'Etna. Su Efesto o Vulcano, dio del fuoco e della metallurgia e fabbro degli dei, venne detto di aver avuto la sua fucina sotto l'Etna e di aver domato il demone del fuoco Adranos e di averlo guidato fuori dalla montagna, mentre i Ciclopi vi tenevano un'officina di forgiatura nella quale producevano le saette usate come armi da Zeus. Si supponeva che il "mondo dei morti" greco, il Tartaro, fosse situato sotto l'Etna.

Si dice che quando l'Etna eruttò nel 252, un anno dopo il martirio di Santa Agata, il popolo di Catania prese il velo rosso della Santa, rimasto intatto dalle fiamme del suo martirio, e ne invocò il nome. Si dice che a seguito di ciò l'eruzione finì e che per questo motivo i devoti invocano il suo nome contro il fuoco e fulmini.

 

Via San Gregorio Armeno: la pittoresca via dei pastori a Napoli

Via San Gregorio Armeno è la celebre strada degli artigiani del presepe, famosa in tutto il mondo per le innumerevoli botteghe dedicate all’arte presepiale. La via e le botteghe possono essere visitate durante tutto l’anno ed il visitatore è così ricondotto ogni volta alla magica atmosfera natalizia.

Per ogni famiglia napoletana, il Natale a Napoli è anche una visita “a San Gregorio Armeno”. Questa è infatti la prima obbligatoria tappa che ogni napoletano compie prima di intraprendere la costruzione o l’ampliameto del proprio presepe.



La via congiunge perpendicolarmente due decumani, il Maggiore e quello Inferiore, e basta seguire i loro percorsi per giungere a quel caleidoscopio di colori, suoni, voci che è la via dei presepi: venendo da via Duomo, vi si arriva attraverso il Decumano Maggiore (via dei Tribunali) o il Decumano Inferiore (via San Biagio dei Librai).

Qui si può trovare di tutto per il presepe: dalle casette di sughero o di cartone in varie dimensioni, agli oggetti “meccanici” azionati dall’energia elettrica come mulini a vento o cascate, dai pastori di terracotta dipinti a mano a quelli alti 30 cm con abiti in tessuto cuciti su misura. Ci sono pure i pastori venditori di frutta, di pesce, il macellaio e l’acquaiola; ma pure il pizzaiolo “robotizzato” che inforna la pizza, i classici come Benito ed i Re Magi e naturalmente la Sacra Famiglia, con il corredo di bue ed asinello, in tutte le dimensioni, fatture e prezzi. Ma accanto a vere e proprie opere d’arte, frutto del lavoro di famiglie artigiane che si tramandano il mestiere da intere generazioni, si trovano aggetti a dir poco kitsch, che però denotano la fantasia e l’ironia dei napoletani: la statuetta (ma sarebbe meglio dire la caricatura) del politico o del VIP del momento è oramai divenuta uno dei classici sulle bancaralle di via San Gregorio Armeno.

Alcuni artigiani si sono specializzati nella realizzazione di questi pastori sui generis e non appena un personaggio sale alla ribalta della cronaca, ne creano il relativo pastore, molto spesso enfatizzandone qualche particolare legato all’evento che lo ha reso famoso. Come non dimenticare Maradona con il suo pallone negli anni d’oro della squadra di calcio del Napoli o l’allora giudice Di Pietro e la schiera di politici condannati dell’era di Tangentopoli.


 Buon Natale

giovedì 22 dicembre 2011

Sardegna: nuraghe di Barumini

Il nuraghe (pl. nuraghi, nuraghe o runaghe in logudorese, nuraci o nuraxi in campidanese, nuragu o nuraghi in sassarese, naracu o nuraghi in gallurese) è una torre in pietra di forma tronco conica ampiamente diffusa in tutto il territorio della Sardegna. I nuraghi furono costruiti a partire dal II millennio a.C. circa, fino al III sec. a.C., ma il momento di massimo splendore fu tra il 1200 e il 900 a.C.

Dal 1997 il nuraghe è stato classificato dall'UNESCO come Patrimonio dell'umanità, individuando in Su Nuraxi presso Barumini (VS) l'esempio più significativo.

I nuraghi sono il monumento più rappresentativo della omonima civiltà. Unici nel loro genere, costituiscono i monumenti megalitici più grandi e meglio conservati che si possano trovare oggi in Europa e sono generalmente considerati come il simbolo più noto della Sardegna. Ne rimangono in piedi circa 7.000 (secondo alcune fonti 8-9.000) sparsi su tutta l'isola, mediamente uno ogni 3 km²; si ipotizza che in passato fossero oltre 20.000. In alcune zone, i nuraghi sono dislocati a poche centinaia di metri l'uno dall'altro, come nella cosiddetta Valle dei Nuraghi nel Logudoro Meilogu, in Trexenta ed in Marmilla.


Su Nuraxi, Barumini (VS)
Su Nuraxi è situato su un breve pianoro marnoso, ai piedi della Giara di Gesturi, nella regione della Marmilla. Il monumento, con un impianto planimetrico e architettonico tra i più straordinari che la cultura nuragica abbia prodotto, presenta il mastio ed un bastione, costituito da quattro torri raccordate da cortine rettilinee. Ad Est ed a Sud del fortilizio, all'esterno ed all'interno dell'antemurale, è visibile un agglomerato di 200 capanne pertinenti al villaggi.

Cuore d'Italia

Che dire.... il Colosseo è il cuore d'Italia.

mercoledì 21 dicembre 2011

La Repubblica Italiana

L'emblema della Repubblica Italiana è caratterizzato da tre elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia.


La stella è uno degli oggetti più antichi del patrimonio iconografico italiano ed è sempre stata associata alla personificazione dell'Italia, sul cui capo appunto, una stella splende raggiante. Così fu rappresentata nell'iconografia del Risorgimento e così comparve, fino al 1890, nel grande stemma del Regno unitario (il famoso stellone); la stella caratterizzò, poi, la prima onorificenza repubblicana della ricostruzione, la Stella della Solidarietà Italiana ed ancora oggi indica l'appartenenza alle Forze Armate del nostro Paese.

La ruota dentata d'acciaio, simbolo dell'attività lavorativa, traduce il primo articolo della Carta Costituzionale: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro".

Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della nazione, sia nel senso della concordia interna che della fratellanza internazionale, mentre la quercia incarna la forza e la dignità del popolo italiano. Entrambi, poi, sono espressione delle specie più tipiche del nostro patrimonio arboreo.


martedì 20 dicembre 2011

Il bel Paese

Terra distesa nel mare che in ogni canzone ci parli d'amore
Terra di grano e di fiori, di sole, di vino, di spine e di allori
Terra che resti nel cuore di chi per un sogno ti deve lasciare
Ogni paese ha una festa, una banda che suona, una piazza, un caffè.


Terra di santi e poeti de' troppi mafiosi e pochissimi preti
Terra di mille stranieri che trovano amore e non partono più
Terra rimasta ind' 'o core d'a ggente che parte pe' terre luntane
Ma in ogni posto del mondo ovunque tu vada, da solo non sei.


Sentirai una radio che suona lontana
Canterà una vecchia canzone italiana
Rivedrai un balcone affacciato sul mare
Una canzone non chiede di più
Ti porta dove vuoi tu.


Ma che cos'è una canzone è una storia che nasce da ogni emozione
E ci accompagna la vita da quando si nasce a quando è finita
Voce di popoli stanchi dà forza ad una idea che non muore più
E in ogni casa del mondo arriva volando dipinta di blu.


Sentirai una radio che suona lontana
Canterà una vecchia canzone italiana
Rivedrai in un attimo il tuo primo amore
Passano gli anni e la vita però
Una canzone no.


Sentirai una vecchia canzone italiana
Canterà da una radio che suona lontana
Rivedrai un balcone affacciato sul mare
Una canzone non chiede di più ti porta dove vuoi tu
Passano gli anni e la vita però
Una canzone no....